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Abbiamo visitato l’azienda San Giovenale, una delle più belle realtà vitivinicole del Lazio.

“Non esistono zone vocate o non vocate alla viticoltura, esistono zone con persone vocate o non vocate alla viticoltura”. Sono parole di Riccardo Cotarella riferite ad una delle regioni italiane tra le più “sfigate” dal punto di vista enologico: il Lazio. Noi Vinomadi siamo completamente d’accordo con lui e pensiamo che il problema di questa regione non sia tanto da attribuire ad una presunta poca vocazione del suo territorio quanto alla poca vocazione di molti dei suoi produttori.

E per dimostrare la nostra tesi abbiamo deciso di visitare un’azienda emergente situata in una zona considerata poco o per nulla “vocata”: parliamo di San Giovenale, cantina fondata nel 2006 da Emanuele Pangrazi. Siamo nella Tuscia, terra selvaggia in cui da secoli si coltiva l’olivo e dove il vino non ha mai raggiunto particolari standard di qualità. Eppure è proprio su una delle colline che circondano il piccolo comune di Blera (Vt), a circa 400 metri slm, che Emanuele ha voluto impiantare le sue vigne. “Qui è dove vive mio padre, per questo ho sempre associato questo luogo alla famiglia – racconta indicando l’orizzonte – Siamo circondati da migliaia di ettari di boschi e a pochi chilometri da qui si trova la necropoli di San Giovenale. E’ sempre stato il mio piccolo angolo di paradiso in cui mi rifugiavo nei weekend dopo una settimana di duro lavoro”.

Emanuele è infatti il proprietario della Tax Refund Spa, azienda che in pochi anni ha portato al successo. “Nel 2006 volevo una nuova sfida e senza avere nessuna particolare conoscenza sul mondo del vino, ho deciso di puntare su questo territorio. Ho contattato Marco Casolanetti di Oasi degli Angeli (quello del Kurni e uno dei fondatori del Consorzio ViniVeri per intenderci ndr) e gli ho chiesto di venirmi a trovare. Lui ha avuto il merito di intuire il grande potenziale di queste terre che da subito gli hanno ricordato la Valle del Rodano”.

E qui entra in gioco la capacità che solo alcuni uomini hanno: quella di “vedere” le cose non limitandosi a guardarle. Chi “vede” è libero e creativo e può immaginare che nella Tuscia (la Tuscia!) si possano impiantare con successo i vitigni tipici della Valle del Rodano: Syrah, Grenache e Carignan. E a ben vedere le affinità sono molte: terreni a tendenza argillosa e ricchi di scheletro; ventilazione costante che arriva dal mare e dalla Valle del Mignone; grandi escursioni termiche tra il giorno e la notte; forte insolazione in primavera/estate; scarsa piovosità.

“Il primo vitigno impiantato, però, è stato il Cabernet Franc – precisa Emanuele – E’ stato l’unico vigneto in cui non abbiamo tolto le pietre più grandi e le barbatelle hanno faticato molto a scendere in profondità con le radici, ritardando l’uscita del vino sul mercato”. E’ così che il Cabernet Franc Habemus Etichetta Rossa è entrato in commercio solamente lo scorso anno con il millesimo 2013, ottenendo unanimi consensi dalla critica. L’Habemus Etichetta Bianca (40% Syrah, 40% Grenache, 20% Carignan) è invece alla sua quarta uscita ed è ormai considerato uno dei vini di punta della regione con il suo inconfondibile blend in cui il Grenache regala morbidezza, eleganza e richiami floreali, il Syrah porta le note speziate e il colore e il Carignan dona sentori più terragni, tenore alcolico e struttura. Un inconfondibile mix che esalta l’essenza del Mediterraneo che dista appena 20 km dalle vigne.

“Quando sono partito con questa avventura avevo bene in mente il detto Una vita, una cantina – continua a raccontare Emanuele – Così ho deciso di fare le cose al meglio, anche perché ritengo che la qualità sia la somma di tanti piccole decisioni che fanno la differenza. A cominciare dalla scelta di Casolanetti come consulente: la sua è una visione particolare della viticoltura che predica il rispetto totale della natura e della materia prima. E’ uno strenuo sostenitore dell’alta densità di piante per ettaro: sui vitigni a bacca rossa siamo oltre gli 11 mila ceppi mentre abbiamo un vitigno sperimentale con Marsanne e Roussanne da 40 mila ceppi per ettaro. Questo ci permette di avere delle piante in forte competizione che spingono le loro radici in profondità e danno pochi frutti (circa 400 grammi a pianta ndr) molto concentrati. Sono anche piante più sane che hanno bisogno di pochissimi trattamenti”. San Giovenale è certificata biologica e applica anche molte delle idee care all’agricoltura biodinamica.

Anche la cantina, disegnata dalla giovane architetta Michela Esposito e terminata nel 2012, è stata realizzata utilizzando gli strumenti più sofisticati e nel più completo rispetto dell’ambiente circostante, come dimostra il rivestimento esterno fatto con il tufo tipico di queste zone. La struttura è a impatto zero grazie alle pareti ed al tetto ventilati della cantina di fermentazione, al tetto giardino che ricopre la bottaia e agli impianti fotovoltaico e geotermico che permettono all’azienda di essere quasi totalmente autonoma dal punto di vista energetico.

Passando al metodo di vinificazione possiamo dire che la macerazione delle uve solamente diraspate dura al massimo due settimane e avviene in particolari contenitori di acciaio a temperatura controllata prodotti da Lejeune. Poi la parte liquida viene trasferita in fermentini d’acciaio e unita al mosto ottenuto dalla parte solida pressata. A questo punto inizia la fermentazione spontanea innescata da lieviti indigeni. A fermentazione ultimata il vino passa in barrique di primo passaggio dove in primavera avviene la malolattica e il vino sosta per 20 mesi prima di essere imbottigliato senza filtrazioni e con un contenuto di solforosa inferiore ai 40 mg/l. “Sia sui serbatoi di acciaio che sulle barrique non ho badato a spese – racconta Emanuele – Ho cercato di ottenere i legni più stagionati di aziende come Gauthier, Cavin, Laurent e Meyrieux. All’inizio è stata dura ma quando hanno capito il vino che volevo produrre hanno cominciato a mandarmi le loro botti migliori. Lejeune, invece, mi ha garantito la più avanzata tecnologia attualmente disponibile sul mercato. Il mio approccio al vino cerca di coniugare il massimo rispetto per la natura con il massimo utilizzo della tecnologia. Ritengo, infatti, che siano i piccoli particolari a trasformare un buon vino in un grande vino”.

E guardando la bottiglia scelta da Emanuele per l’Habemus, ci si rende conto che dice sul serio: utilizza la stessa borgognotta del La Tâche di Romanée-Conti, il miglior vino del mondo. Con queste premesse, è facile immaginare un radioso futuro per questa azienda le cui vigne ancora giovanissime già regalano vini incredibilmente eleganti. Nell’attesa di degustare anche i bianchi a base di uve Roussanne e Marsanne, lasciamo la Tuscia sempre più convinti che il vino premia sempre i coraggiosi e che il Lazio aspetta solamente che altri produttori riescano a “vedere” le sue potenzialità.

I migliori assaggi di botte

Syrah 2013
Rosso rubino tendente al granato. Al naso apre con soffi balsamici seguiti da note di piccoli frutti rossi e spezie. In bocca è molto fresco e di buona struttura. Un tannino presente ma perfettamente integrato introduce un lungo finale sapido e balsamico.

Syrah 2014
Rosso rubino con unghia granato. Naso croccante che propone note di amarena su uno sfondo vegetale. Le spezie restano sullo sfondo. Bocca più delicata che propone buona freschezza perfettamente bilanciata da un tannino vellutato. Finale più corto che chiude su note fruttate.

Grenache 2015
Rosso rubino/violaceo. Naso fantastico che propone eleganti note di lavanda e rosa canina seguiti da erbe aromatiche e frutta rossa. Un ricordo di Provenza liquido. Bocca altrettanto elegante ed equilibrata che si gioca tutta sulla dinamica tra acidità e tannino nobile. Finale infinito in cui ritornano i sentori floreali e fruttati.

Carignan 2014
Rosso Granato. Al naso apre con erbe aromatiche e macchia mediterranea. Poi note di frutta rossa matura, spezie dolci e liquirizia. In bocca è caldo e caratterizzato da discreta freschezza e tannino integrato. Buona le persistenza che riserva un finale quasi salato.

Carignan 2015
Rosso Granato. Naso più scuro che vira su note di salamoia e sottobosco. Poi arriva l’amarena e il chiodo di garofano. In bocca è equilibrato grazie alla buona freschezza abbinata ad un tannino di qualità. Lungo il finale fruttato che conferma la spiccata sapidità.

Tempranillo 2015 (entrerà nel blend dall’annata 2015 dell’Habemus Etichetta Bianca)
Rosso rubino. Si presenta al naso con amarena croccante e sbuffi balsamici. Poi arriva una nota tostata di caffe. In bocca è morbido e moderatamente fresco. Il tannino è delicato come anche il piacevole finale fruttato.

Cabernet Franc 2015
Rosso rubino. Apre con le tipica nota erbacea abbinata a ricordi di mora. Poi note di grafite, spezie dolci ed erbe aromatiche. In bocca l’abbondante freschezza è inseguita da un tannino ancora esuberante. Buona la sapidità e la persistenza che disvela sentori coerenti con il naso.

San Giovenale

Anno di Fondazione

Ettari vitati

Bottiglie prodotte