Siamo tornati in Sicilia per conoscere meglio il Marsala, ospiti di uno dei produttori che sta riuscendo a riportarlo ad altissimi livelli: Francesco Intorcia, che con la linea Heritage sta incuriosendo il mondo.
Arrivare a Marsala e non sentire il desiderio di conoscere più da vicino il vino il cui nome ha ben superato la fama della stessa città a livello mondiale, appare quasi inverosimile. Le strette vie del borgo antico sono costellate di enoteche, vinerie, locali e pub, posti dove mangiare specialità locali fenomenali. Una su tutte l’arancino, vero capolavoro di street food. Tornando però al vino, se siete proprio asciutti (perdonate l’allusione) della storia che riguarda questo vitigno e ciò che da esso si può trasformare in qualcosa di unico, potrebbe essere una buona idea visitare il Museo del Marsala, situato in pieno centro storico. Al di là degli approfondimenti sui personaggi che hanno caratterizzato l’epopea del fortificato siculo, c’è una ricca sezione che riassume le caratteristiche fondamentali tanto dell’uvaggio che soprattutto del metodo di vinificazione. Non aspettatevi effetti speciali, ma l’esposizione è ben curata e passeggiare per le sale decisamente piacevole.
Partiamo dall’assunto che il Marsala fu il primo vino italiano ad avere risonanza mondiale. La sua ascesa è dovuta in gran parte all’inglese John Woodhouse, che nel 1773 si recò in Sicilia attratto dai suoi vini alcolici e robusti a buon prezzo. L’unicità riguardava in sostanza il metodo d’invecchiamento, con una botte che veniva colmata del vino mancante consumato con il vino d’annata. Di fatto una sorta di metodo Soleras effettuato però con una sola botte. Woodhouse conquistato dalla bontà del vino dolce locale e intenzionato a rifornire di vino le tavole delle corti nobiliari e della ricca borghesia industriale, pensò che il vino di Marsala opportunamente fortificato avrebbe potuto fare allo scopo. Iniziò con una cinquantina di botti addizionate con acquavite. Dopo il suo successo arrivarono in Sicilia altri inglesi tra cui Ingham & Whitaker che insieme a Woodhouse stilarono quello che di fatto fu il primo disciplinare di produzione per il Marsala. Nel 1833 finalmente anche un italiano, Vincenzo Florio, fondò a Marsala le cantine omonime e con una flotta di 99 navi divenne il magnate incontrastato del Marsala. Arrivarono poi Rallo nel 1860 e la Pellegrino nel 1880. Superati i problemi legati al Proibizionismo americano, che vietò l’importazione del Marsala, nel 1931 arrivarono prime leggi e regole che proteggevano il prodotto e ne circoscrivevano la zona di produzione. È datata 1963 per la creazione del Consorzio per la tutela del vino Marsala DOC.
Ci siamo permessi di riassumere il contesto storico e le principali vicende legate alla storia del Marsala, ma da appassionati di buon bere vi suggeriamo di leggere qualcosa sulle tante guide e libri dedicati all’argomento. È giusto però ben ricordarsi le caratteristiche fondamentali del Marsala che ci aspettiamo, ovvero non certo aromatizzato (scelta di marketing che purtroppo ha molto danneggiato la fama del vino in questione) e prodotto puntando ad esaltare le qualità organolettiche di questo blend.
Dopo il Catarratto e l’Ansonica, si sono aggiunti Grillo e Damaschino, come uve a bacca bianca per ottenere Marsala categoria oro o ambra. I vini ottenuti dai vitigni a bacca nera rientrano nella categoria “rubino“ e utilizzano invece i vitigni Perricone, Nero d’Avola e Nerello Mascalese. Dopo la vinificazione si aggiungono mosto cotto, acquavite o acquavite e mosto cotto (mistella). Una volta fortificato il vino riposa in botti da 400 litri riempite solo per 3/4. Le botti vengono poste una sopra l’altra in una sorta di piramide, secondo il metodo Soleras. Ad ogni vendemmia il vino viene trasferito ai livelli inferiori, ossidandosi e concentrandosi. Quando raggiunge la base il vino è pronto per l’imbottigliamento. Annata dopo annata. Così escono profumi di nocciole, di frutta secca e di spezie, dovuti principalmente al contatto con l’ossigeno. Nota decisamente piacevole grazie alla grande carica zuccherina e alla struttura imponente del Marsala.
La fortuna ha voluto che un’amicizia comune ci abbia condotti da Francesco Intorcia, che ha raccolto un’antica tradizione di famiglia portando avanti con passione e visione l’azienda fondata dal nonno. Quest’ultimo ha ora 92 anni e ogni mattina è lui ad aprire l’azienda. “Nessuno può farlo se non lui, che tutti i giorni alle 7.30 infila la chiave nella toppa”, ci racconta divertita Monica che, giovanissima, ha iniziato a lavorare con “Ciccio” Intorcia nel progetto Heritage che è stato al centro della nostra degustazione.
Facendo un passo indietro, al 2010, il progetto era quello di riscoprire e valorizzare ciò che il Marsala negli ultimi trent’anni era andato perdendo, ovvero la freschezza e complessità dei vini. È allora che Francesco Intorcia decise di mettere in bottiglia le prime Riserve Intorcia 3gen insieme al padre Antonio. La scelta cadde sulla vendemmia 1980 nelle tre tipologie Vergine, Dolce e Semisecco. Vini estremamente complessi con una mineralità e acidità sorprendenti. Al di là del progetto Heritage l’azienda continua a produrre anche una linea base nei suoi stabilimenti da oltre 25.000mq con capacità ricettiva di oltre centomila ettolitri. I suggestivi magazzini di invecchiamento vantano oltre 20.000 hl di capacità in fusti di rovere. Tra i vini liquorosi si producono Zibibbo, Moscato e Malvasia.
Con un balzo al presente veniamo accolti in uno dei magazzini dove gli enormi fusti riempiono tutti gli spazi alle pareti. Il corridoio centrale non è molto largo, mentre verso l’alto i tondi colossi di rovere salgono impertinenti. Questo fa sì che l’atmosfera appaia estremamente familiare, seduti intorno a un lungo tavolo di legno apparecchiato con alcuni cibi tipici al centro. I fusti, ci spiega il padrone di casa «Li facciamo realizzare dal bottaio di Marsala. Già, perché prima ce n’erano tanti e ora invece è rimasto solo lui. Di certo noi cerchiamo di fare tutto nel territorio e finché sarà possibile speriamo di poter continuare».
Si parte da un drink, ghiaccio, acqua tonica e Marsala. Una mossa che descrive già perfettamente la visione di “Ciccio” Intorcia, proiettato verso una conoscenza rinnovata del Marsala, non più un vino da fine pasto ma qualcosa di ben più trasversale. La scelta ad esempio è usare un PreBritish, con evidenti note agrumate e di frutta gialla, decisamente stuzzicanti pensando a un aperitivo. Nonostante la presenza del ghiaccio si apprezzano i sentori di spezie dolci e note balsamiche, con un ricordo di mandorle. Morbido e caldo al palato sorprende per la freschezza e grande persistenza. Per ottenere il PreBritish, dopo la svinatura si trasferisce il vino in botti perpetue da 1000 litri, dove resta per 6-8 mesi. Come da tradizione prima dello sbarco degli inglesi, il vino perpetuo si ottiene dalla ricolmatura di una cuvée come selezione delle migliori annate. Dopo l’affinamento il vino riposa in bottiglia per ulteriori 4-6 mesi.
«Il Marsala non può stare dietro al mercato. È un vino da conversazione, non da meditazione» spiega il produttore. Per questo crede in un rinnovamento profondo e i riconoscimenti internazionali gli stanno dando ragione. Il punto chiave è la percezione che il Marsala non sia un vino da pasto, ma con la giusta interpretazione può invece rappresentare un ottimo abbinamento anche con il salato. Ad esempio ci viene offerta della bottarga di tonno stagionata, a dir poco decisa nella sua sapidità estrema e dall’intenso sapore marino. Eppure non c’è neanche bisogno del pane se si abbina a un 2004 vergine secco, prodotto che si ottiene pazientando 15 anni per l’invecchiamento in botte. Nell’elegante etichetta è indicato il tino da cui proviene, per sottolineare le intelligenti scelte di marketing. Un Marsala che mostra grande freschezza e sapidità, ma anche una persistenza in grado di tener testa alla bottarga. Arricchiscono il palato note di frutta secca e scorza d’arancia, mandorle tostate e note vanigliate. Elegante, strutturato e persistente è decisamente un vino “da conversazione” per citare lo stesso Intorcia.
Conversando Francesco ci dice qualcosa di più sulla storia che l’ha portato ad essere uno dei più apprezzati produttori di Marsala della nuova generazione: «Ho deciso di fare questa scelta di vita perché sono in mezzo a tutto questo fin da quando ero piccolo e a un certo punto ho iniziato a subirne il fascino. Però assaggiando il vino capivo che la strada intrapresa dall’azienda non era quella giusta, quindi ho staccato col passato e sono praticamente ripartito da zero. Ovvio, ora bisogna fare un grande lavoro di comunicazione e non parlo certo solo di noi ma dell’intera denominazione. Sono sicuramente state fatte fatta scelte sbagliate a livello di marketing, dalla mia azienda come da altre, e questo ha relegato il Marsala in un angolo del mercato. Lo si vede anche all’estero. Noi vendevamo negli Stati Uniti, un mercato enorme, ma al quale non puoi certo stare dietro con un progetto come il nostro. Quindi ho lasciato perché voglio comunicare soprattutto in Sicilia e in Italia. Poi vedremo cosa succederà e magari troverò importatori che vogliano fare anch’essi questa piccola battaglia. Che è il momento di crescere mi pare evidente, soprattutto dopo il 100/100 di WineEntusiast». Il riferimento è a qualcosa accaduto giusto qualche giorno prima che noi Vinomadi arrivassimo alle Cantine Intorcia. Il Marsala Heritage Riserva Vergine 1980 ha ottenuto sulla prestigiosa rivista internazionale Wine Enthusiast il punteggio di 100/100, un risultato storico per il vino italiano dato che questa è la prima volta che un fortificato italiano ricevere tale riconoscimento. «Devo ammettere che si sta già muovendo qualcosa – ha anticipato il produttore – ma non voglio rivolgermi ai ristoranti stellati, dove tra l’altro qualcuno già ci tiene in carta. Al contrario vorrei abbassare un po’ il target, sembra assurdo ma per me ha senso. Di solito si tende ad andare sempre più in alto, invece credo sia decisivo che si allarghi la platea di quelli che apprezzano questi vini bevendoli anche a tavola».
Si passa quindi al 1980, la riserva che ha dato il via al progetto Heritage – antologie dei vini di famiglia. Sempre un Vergine, riserva, ma viene prodotta anche la versione riserva superiore (ambra dolce). Qui le note dolci sono le prime a colpire, con fichi secchi e mandorle tostate, noci e frutta secca in genere, ma anche un piacevole confetto e scorza d’arancia. Quasi salmastro nella sua spiccata sapidità salina, ma non per questo meno elegante. Con una simile struttura al di là della bottarga si può tranquillamente azzardare un pane cunzato, altra meraviglia gastronomica siciliana. Un corposo panino farcito con primo sale, pomodori, origano e filetti di alici, tutto ovviamente locale. L’esplosione di gusto è inevitabile, con la freschezza degli ingredienti a riaccendere il desiderio dopo ogni morso. Soprattutto sorseggiando il Vergine secco, realizzato al 100% con uve Grillo, che ha trascorso poco meno di 40 anni in fusti di rovere.
Ma si può anche allargare la platea di estimatori cercando vie più immediate, senza per questo distogliere lo sguardo dall’obiettivo, ovvero promuovere un vino realizzato con maestria e dall’oggettivo valore. Così assaggiamo il 2015 riserva superiore, anch’esso Grillo in purezza, dal brillante colore giallo oro. Più ruffiano, forse? Più semplice? In realtà è semplicemente più versatile, perché l’equilibrio qui è totale seppur stiamo parlando di un vino delicatamente amabile da 18 gradi. Ma con il dolce si abbina il dolce e perché mai il Marsala dovrebbe uscire di scena nel momento in cui storicamente è stato perlopiù utilizzato? Infatti addentiamo un meraviglioso cannolo siciliano farcito poco prima e ci lasciamo avvolgere dalle note speziate dove cannella e vaniglia sono ben presenti. Ma c’è anche la frutta candita e quella sciroppata, una pesca. Qui sono sufficienti 4 anni in fusti di rovere per conferire rotondità e una attraente parure di note tostate. «Uno dei segreti nella produzione è ciò che si decide di aggiungere al vino base. Qui c’è la mistella, ovvero acquavite più mosto cotto, che vengono invecchiati in legno dalla vendemmia di 2 anni prima. Quanto ai fusti, ogni 5 anni si passa a legni nuovi».
La nostra degustazione si chiude con il superiore 2004, un ambra dolce sempre 100% Grillo che invecchia tra i 10 e i 15 anni. Dopo un cannolo cosa si potrà mai aggiungere? Beh, in Sicilia potrebbero rispondere frutta martorana! In effetti con la pasta di mandorle s’incontrano perfettamente il caramello e la liquirizia che si apprezzano a ogni sorso. C’è ovviamente frutta secca anche qui, ma siamo soprattutto sui datteri. La morbidezza al palato è assoluta, con un retrogusto particolarmente intrigante soprattutto nelle sfumature agrumate.
Lasciare le Cantine Intorcia e i nostri premurosi ospiti è come separarsi da un’ambiente già familiare. Perché osservare l’onestà di questo luogo, praticamente incastonato nel centro storico, racconta la vera passione che ha guidato decenni di vendemmie. Camminare tra le pile di fusti di legno, che immobili fanno il loro lavoro, con una pazienza che è quella degli uomini che ci vivono intorno. Proteggendo i saperi del passato e cercando soluzioni compatibili con le tecnologie del presente, ma anche guardando con coraggio al futuro convinti che certi cambiamenti possono ridare nuovamente luce a un vino che rappresenta un po’ la storia di tutti.