In Irpinia abbiamo visitato Cantine dell’Angelo con le sue vigne poste sui ripidi pendii che circondano il comune di Tufo (Av).
Questa storia inizia con una degustazione alla cieca fatta in occasione di Campania Stories. Immaginate di dover degustare 110 vini bianchi e di essere arrivati intorno alla 90° etichetta in preda alle fantozziane visioni dell’arcangelo Gabriele… Ecco, in quel preciso istante ci si presenta al naso un vino assurdo e totalmente inaspettato. Da un momento all’altro ci ritroviamo catapultati in una vasca termale in cui i vapori zolfini si mescolano al profumo di ginestre in fiore. Ci guardiamo intorno con la sensazione di essere in costume e invece siamo ancora a Palazzo Caracciolo, Napoli centro. Difficile valutare un vino del genere, in questi casi l’unica cosa che si può fare è infrangere l’anonimato e scoprire l’etichetta: Cantine dell’Angelo Greco di Tufo Miniere 2016.
Stravolti da questo incontro fortuito decidiamo di organizzare per il giorno dopo una visita in azienda. È così che a poche ore dal nostro assaggio conosciamo il produttore Angelo Muto e l’enologo Luigi Sarno, recente vincitore del Premio Gambelli come miglior winemaker under 40. Luigi è anche presidente del Consorzio Produttori Vitivinicoli irpini e proprietario di Cantina del Barone, quella del pluripremiato Fiano di Avellino Particella 928 (a breve su Vinomadi il racconto della visita alla sua azienda).
La mattinata è iniziata con un avventuroso giro in jeep sui sentieri più sgangherati del comune di Tufo. Angelo, infatti, ci teneva a farci visitare non solo le sue vigne ma tutti i più importanti cru della zona: dal Vigna Cicogna di Benito Ferrara al Cutizzi di Feudi di San Gregorio. Con il suo fuoristrada ha percorso sterrati vista burrone che nemmeno in Mission Impossible! La strada peggiore è stata però quella per arrivare ad una delle vigne storiche di Tufo, quella di Torrefavale da cui nasce l’omonima etichetta di Cantine dell’Angelo. Si tratta di una parcella di circa un ettaro posta a 550 metri di altezza con pendenze che non permettono nessun tipo di meccanizzazione; sotto un metro di argilla e calcare si trova zolfo e ferro. Nella parte più bassa della vigna sono ospitate delle piante di 120 anni coltivate con il tipico tendone avellinese. Il paese di Tufo è proprio di fronte alla vigna e sembra quasi di poterlo toccare.
“Il Torrefavale, anche grazie alla maggiore altezza della vigna, è una versione di Greco di Tufo più fine ed elegante – racconta Angelo – Il Miniere è invece un’espressione unica e spregiudicata. E’ un vino che probabilmente può essere compreso a pieno solamente conoscendo il luogo da cui proviene”. La vigna Miniere si trova più a valle su terreni che sotto pochi centimetri di terra diventano giallo fosforescente. Tra i filari, rigorosamente inerbiti e circondati da boschi e vegetazione spontanea, è facile trovare piccoli sassi gialli e gesso cristallizzato tanto che camminando si percepisce nitidamente l’odore sulfureo che poi si ritrova nel vino.
Le vecchie miniere di zolfo fanno capolino dal sottosuolo attraverso delle prese d’aria simili a piccole ciminiere. Un tempo erano l’unico contatto con il mondo esterno per chi, come il nonno di Angelo, faceva il minatore. Sua nonna, invece, trasportava i candelotti di esplosivo dalla polveriera all’imbocco della solfatara. Il lavoro era duro ma lo zolfo per tanti anni è stato l’oro di queste terre ed ha sfamato intere famiglie. Era infatti il 1866 quando Francesco Di Marzo (capostipite della famiglia proprietaria delle Cantine Di Marzo) scoprì che qui sotto oltre al tufo che ha dato il nome al paese c’era lo zolfo. La sua azienda mineraria proliferò per più di un secolo arrivando a contare centinaia di dipendenti. La valle del fiume Sabato ancora oggi ospita i vecchi stabilimenti ristrutturati, bellissimo esempio di architettura industriale ottocentesca.
“Nel 1995 ho acquistato questi terreni dai Di Marzo proprio per il legame che hanno con la mia famiglia – racconta Angelo – La vigna di 7 ettari si estende tra la vecchia polveriera e l’ingresso della miniera, proprio dove i miei nonni hanno passato una vita intera. Per me è motivo di orgoglio coltivare la vite proprio in questo luogo anche perché mio nonno, come quasi tutti qui a Tufo, ha sempre prodotto vino e mio padre ha continuato la tradizione. Sono stato io, però, ad iniziare a vinificare in proprio e ad imbottigliare. In cantina come in vigna cerco di intervenire il meno possibile: fermentazioni spontanee in acciaio e nessuna chiarifica o filtrazione”.
Andando verso la cantina per degustare alcune etichette abbiamo chiesto ad Angelo cosa ne pensasse delle ricerche che ultimamente hanno messo in discussione il fatto che terreni ricchi di minerali possano influire sui profumi del vino. “Io non sono uno scienziato – ha risposto – ma chiunque metta il naso nel Miniere non può non percepire i richiami sulfurei che con il tempo lasciano spazio ad aromi più eleganti ed evoluti”. Per supportare la sua teoria pesca dal pozzo l’acqua che scorre sotto la vigna: è densa e quasi oleosa a causa dello zolfo. E dato che per noi Vinomadi 1+1 fa 2, possiamo tranquillamente affermare che nel caso del Greco di Tufo Miniere la componente minerale del terreno si rivela anche al naso. Ed è stato proprio quel sentore così nitido ad incuriosirci e a spingerci fino a Tufo. Perché il vino, come sempre, non prevede scorciatoie…
La degustazione
Greco di Tufo Torrefavale 2016
100% Greco – Gr. 13%
Giallo paglierino tendente al dorato. Naso che a sentori di erbe aromatiche, fiori di campo, frutta secca e pesca bianca affianca delicati richiami zolfini e salmastri. Il sorso è caratterizzato da una importante spalla fresco-sapida che dona persistenza al finale sapido e fruttato. Solo acciaio.
Greco di Tufo Miniere 2016
100% Greco – Gr. 13%
Giallo paglierino tendente al dorato. Naso più “grasso” e assolutamente riconoscibile grazie alla intensa nota di zolfo che sorprende per poi lasciare spazio a fiori gialli, frutta gialla matura e mandorla. Il sorso offre più struttura, equilibrio e morbidezza rivelando un finale in cui torna la scia sapida.