Seleziona una pagina

Life of Wine si conferma uno degli enoeventi più interessanti portando a Roma decine di grandi verticali che raccontano cosa è il vino.

Una delle prime scoperte che si fanno quando si comincia a studiare il vino è che si tratta di una materia viva che può cambiare molto in base all’annata e al momento in cui una bottiglia viene stappata. Sembra un’ovvietà ma in fin dei conti non è proprio questo suo proiettarsi verso il futuro alla ricerca dell’immortalità a renderlo così interessante e unico? Noi Vinomadi ricordiamo come fosse ieri l’emozione provata durante la nostra prima verticale: tre annate di Etna Bianco Pietramarina di Benanti. È un po’ come il primo bacio, non si scorda mai.

E dopo tante bottiglie stappate (e qualche bacio) domenica 18 ottobre ci siamo ritrovati a Roma dove abbiamo partecipato per la quarta volta a Life of Wine, degustazione unica dove i produttori propongono delle verticali dei loro vini più rappresentativi. Diciamocelo, in questo funesto 2020 l’evento organizzato da Studio Umami ha avuto ancora più valore: parliamo di quel valore che si dà alle cose belle quando si rischia di perderle. Sì perché tra notizie allarmanti e lockdown imminenti ci è voluto molto sangue freddo per confermare l’appuntamento. Alla prova dei fatti, però, tutto è filato liscio grazie agli ingressi contingentati (200 in totale) e al rigido protocollo di sicurezza rispettato da tutti i partecipanti.

Cinquanta le aziende presenti tra i banchi d’assaggio del Radisson Blu Hotel e moltissime le etichette da segnalare. Noi Vinomadi siamo partiti con una visita a Lucia Letrari che proponeva il suo Brut Riserva Trento Doc (60% Chardonnay e 40% Pinot Nero) nelle annate 2005, 2008, 2010 e 2014. A differenza degli scorsi anni, quando la produttrice trentina aveva effettuato il dégorgement di tutti i vini a ridosso dell’evento, in questa occasione le etichette sono state sboccate in momenti differenti (da 4 a 7 anni dopo la vendemmia). È stato così possibile valutare l’effetto della microssigenazione su questo Brut Riserva che solitamente entra in commercio con 60 mesi di sosta sui lieviti. Da urlo la 2010 (sboccatura 2017, 72 mesi sui lieviti) che ad una visiva abbagliante caratterizzata da un meraviglioso color oro con perlage fine e abbondante unisce un naso ricco ed elegante con note di cedro e torta al limone, fiori bianchi e frutta secca. Sorso caratterizzato da grande equilibrio nonostante l’importante spalla fresco-sapida ben bilanciata dalla delicata morbidezza. La bolla cremosa introduce un lunghissimo finale in cui tornano gli agrumi e la frutta secca. Interessante il confronto con la 2014 caratterizzata da freschezza citrina e con la 2005 in cui l’evoluzione porta note di nocciola tostata e una bocca golosa. Meno fortunata l’annata 2008 in cui l’ossidazione è maggiormente evidente.

Seconda tappa del nostro giro è stata la Toscana de Il Colombaio di Santa Chiara. Quando sentiamo dire che questa regione non offre grandi vini bianchi restiamo sempre un po’ perplessi, soprattutto pensando al grande piacere che può dare una Vernaccia di San Gimignano. Il Campo della Pieve (100% Vernaccia di San Gimignano) nasce da una vigna di 1,5 ettari posta tra i 360 e i 400 metri di altezza su terreni calcarei composti da sabbia e argilla. Alla fermentazione spontanea in acciaio a temperatura controllata segue un lunga sosta di 18/20 mesi in cemento sulle fecce fini con batonnage periodici. Abbiamo degustato le annate 2014, 2016 e 2018 e quest’ultima è quella che ci ha maggiormente emozionati. L’annata 2018 è stata caratterizzata da una regolarità delle stagioni e dall’assenza di eventi estremi (autunno/inverno abbastanza freddo e piovoso, primavera/estate con temperatura nella media e sporadiche piogge rinfrescanti). Bello il colore giallo paglierino con riflessi verdolini e meraviglioso il naso che alle note di gesso abbina richiami di limone, menta, ortica, fiori bianchi e mandorla. Sorso che offre una struttura importante alleggerita dalla grande freschezza. Lunghissima la scia sapida e ammandorlata che invita ad un secondo sorso. Più fruttata la 2016 con i suoi ricordi di pesca abbinati a sbuffi salmastri e la bocca sapida. Di grande equilibrio la 2014 con un naso in cui spiccano le note di cedro e susina goccia d’oro.

Dalla Toscana siamo passati alla vicina Umbria dell’azienda Palazzone di Rocca Ripesena (Tr), piccolo borgo posto a un tiro di schioppo da Orvieto. È qui che la famiglia Dubini negli anni ’60 acquista il podere Palazzone che prende il nome da un palazzo adibito ad ostello per pellegrini edificato nel 1299 in occasione del primo Giubileo. Quasi 700 anni dopo, nel 1988, l’azienda inizia a vinificare e imbottigliare tutta la sua produzione che nasce da 25 ettari di vigne impiantate su terreni misti di origine marina (qui fino a 1,8 milioni di anni fa c’era il mare) e vulcanica, vista la vicinanza con il lago di Bolsena. Al banco d’assaggio abbiamo incontrato il produttore Giovanni Dubini che proponeva in degustazione cinque annate dell’Orvieto Classico Superiore Campo del Guardiano (50% Procanico, 30% Grechetto, 10% Verdello, 10% Malvasia): 2007, 2013, 2014, 2015 e 2018. Questo vino nasce dall’omonima vigna di 4 ettari reimpiantata 17 anni fa a 300 mt di altezza. Fermenta e matura in acciaio mentre affina per 18 mesi in bottiglia all’interno di una tipica cantina scavata nel tufo. La degustazione è stata una cavalcata epica che ci ha condotti alla perfetta armonia raggiunta dalla 2007: un vino che ci ha fatto sentire gli arcangeli con le trombe e i diavoli coi tromboni. Nato da un’annata calda, si presenta in una veste dorata e sfodera meravigliosi profumi di ginestra, agrumi canditi, miele di acacia, frutta secca e macchia mediterranea. In bocca è goloso e armonico, freschissimo, morbido, sapido, infinito. Un tripudio! Di altissimo livello anche le altre annate, ognuna caratterizzata da un tratto distintivo: dall’eleganza della 2013 al chiaro sentore di gesso della 2014 passando per l’opulenza della 2015 e le note vegetali della 2018. L’Orvieto si conferma ancora una volta un vino dalle grandi potenzialità evolutive. E proprio per valorizzare questa denominazione dalla lunga e gloriosa storia (si narra che Garibaldi e i Mille brindarono con del vino di Orvieto prima di partire per la Sicilia) Palazzone si è associata ad altre quattro aziende del territorio: Cantine Neri, Madonna del Latte, Sergio Mottura e Tenuta di Salviano. L’idea è quella di unire le forze per promuovere l’idea di un’agricoltura sostenibile che valorizzi anche il patrimonio storico e culturale di questa splendida parte di Umbria. Non è ancora un’associazione ufficiale ma Giovanni Dubini non ha escluso che lo possa diventare e che il gruppo si possa allargare ulteriormente. Vengono in mente realtà come Cirò Revolution o Generazione Vulture e ci auguriamo che questo gruppo riesca ad avere lo stesso successo.

Ancora storditi dal Campo del Guardiano 2007 ci siamo spostati nella Valpolicella per dedicarci ad una cantina relativamente giovane ma che ha alle spalle più di un secolo di storia. Si tratta dell’azienda Secondo Marco, fondata nel 2008 da Marco Speri fuoriuscito dalla storica azienda di famiglia per realizzare la sua idea di vino. Simpatico l’aneddoto che racconta di quando Marco prese la decisione di lasciare l’azienda e il padre Benedetto esclamò “mi somiglia ma non so da chi abbia preso!”. La cantina si trova a Fumane e può contare su 15 ettari vitati a pergoletta. Abbiamo degustato il suo Amarone della Valpolicella nelle annate 2010, 2011, 2012 e 2013 (Corvina 45%, Corvinone 45%, Rondinella 5%, altre uve autoctone 5%). Le uve vengono sottoposte ad un appassimento di 120 giorni cui segue una fermentazione spontanea con circa 50 giorni di macerazione sulle bucce. Segue una lunga maturazione di 4 anni in grandi botti da 50hl e un affinamento di 18 mesi in bottiglia. Interessante il confronto tra due annate molto diverse tra loro come la 2011 (annata classica caratterizzata da inverno piovoso, estate calda con escursione termica giorno/notte, autunno caldo e secco) e la 2013 (annata con grandi contrasti: autunno/inverno/primavera freddi e piovosi, estate estremamente calda e secca). La 2011 si presenta rosso granato tendente al mattone con buona trasparenza. Naso ampio che apre con sbuffi balsamici di eucalipto che introducono ricordi di cacao amaro, frutti di bosco in confettura e scatola di sigari. In bocca è leggiadro grazie all’incredibile freschezza che bilancia calore e morbidezza. Il tannino nobile accompagna verso un lunghissimo finale balsamico, sapido e fruttato. La 2013, invece, si presenta rosso granato trasparente e con un naso fresco che sa di macchia mediterranea, sottobosco, piccoli frutti rossi e spezie come cannella, pepe e il chiodo di garofano. Il sorso è decisamente fresco e sapido con le sensazioni morbide che restano in secondo piano. Perfetto il tannino vivo, sempre lungo e coerente il finale. Un grande Amarone moderno con un residuo zuccherino assolutamente contenuto e una bevibilità straordinaria.

Abbiamo chiuso il nostro giro con la cantina Cieck di San Giorgio Canavese, a metà strada tra Torino e la Valle d’Aosta. Nata nel 1985 per opera di Remo Falconieri, oggi l’azienda è guidata dalla figlia Lia, presente al banco d’assaggio. I 13 ettari di vigne sorgono su colline moreniche ideali per la coltivazione secondo il tradizionale sistema a pergola dell’Erbaluce, vitigno dalla storia secolare che ha una lunghissima tradizione nel canavese. Citato per la prima volta addirittura nel 1605 nell’opera Della eccellenza e diversità de i vini di Giovanni Battista Croce, secondo recenti analisi genetiche risulterebbe imparentato con il Greco campano facendo presupporre origini molto più antiche. Noi Vinomadi siamo da sempre grandi fan degli spumanti a base di Erbaluce dell’azienda Cieck ma in occasione di Life of Wine ci siamo dedicati all’Erbaluce di Caluso Passito Alladium proposto da Lia Falconieri nelle annate 1996, 2001 e 2013 con la bonus track dell’Alladium Riserva 2006. Parliamo di un vero poker d’assi tanto che è stato veramente difficile stabilire quali fossero le nostre annate preferite ma alla fine abbiamo optato per la 2001 e per la Riserva 2006. L’Alladium nasce da una selezione di uve che vengono appassite in un fruttaio naturale appendendo i grappoli su appositi telai. A marzo solo gli acini migliori, che molto spesso vengono attaccati dalla muffa nobile, vengono pressati in un piccolo torchio in legno per poi avviare la fermentazione in acciaio. La maturazione avviene in piccole botti di rovere dove il vino sosta 36 mesi prima di essere imbottigliato. La 2001 è giallo dorato con riflessi ambra e si presenta con chiari sbuffi iodati uniti a sentori di smalto. Poi è la volta di frutta secca, miele di castagno e dattero disidratato. Il sorso inizialmente dolce e caldo rivela poi grande freschezza e un lunghissimo finale salato in cui tornano le note di mandorla. L’Alladium Riserva nasce dalle migliori vasche del passito che vengono imbottigliate e affinate per almeno 10 anni. La 2006 è color ambra luminoso e si presenta con rinfrescanti note balsamiche unite a sentori di dattero, fico secco, miele di eucalipto, nocciole e smalto. Il sorso denso si gioca tutto sul contrasto tra acidità e dolcezza con una piacevole nota tostata che si allunga sul finale sapido.

Andiamo via da Life of Wine consapevoli che probabilmente sarà l’ultimo evento cui potremo partecipare per un po’ di tempo a causa della pandemia che ci perseguita. Che dire? Ci auguriamo di poterci presto ritrovare insieme con un bicchiere in mano, perché il vino è condivisione di idee, emozioni e passioni.