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“I vini della Georgia a Roma”, evento targato Riserva Grande, ci ha dato lo spunto per fare una riflessione sul grande interesse che circonda la viticoltura georgiana.

Ormai è chiaro: ultimamente tira più un’anfora georgiana che un carro di Barolo! A dimostrarlo il clamoroso successo della due giorni organizzata il 25 e 26 settembre da Riserva Grande con il patrocinio dell’Ambasciata della Georgia. L’evento ha infatti richiamato un gran numero di appassionati che hanno avuto la possibilità di partecipare alla più grande degustazione di vini georgiani mai organizzata a Roma. Ma ancora di più lo dimostrano i numeri dell’export del settore vino del paese caucasico: nel 2019 parliamo, infatti, di 94 milioni di bottiglie esportate in 53 paesi del mondo per un valore di 240 milioni di dollari (+ 17% rispetto al 2018).

“I vini della Georgia a Roma”

Ma tutto questo interesse ed entusiasmo è giustificato dalla qualità dei vini georgiani? Domanda più che legittima visto che ai tempi dell’Unione Sovietica la Georgia era considerata il suo serbatoio enologico e anche dopo l’indipendenza, ottenuta nel 1991, gran parte del vino georgiano continuava ad essere esportato verso la Russia. Si trattava di un prodotto di pessima qualità che in alcuni casi veniva addirittura sofisticato tanto che nel 2006 la Russia decise di vietarne l’importazione anche per colpire l’economia del paese caucasico, considerato politicamente troppo filo-occidentale. L’embargo mise in ginocchio il settore e molte grandi aziende chiusero i battenti. Solo a quel punto i produttori, sostenuti economicamente dal governo, decisero di puntare sulla qualità e sulla valorizzazione della propria tradizione millenaria, calpestata per 55 anni dal dominio Sovietico. Questa fu individuata come l’unica via per arrivare sui mercati occidentali e recuperare quote di mercato.

Il primo grande successo del nuovo corso della viticoltura georgiana arriva nel 2013 quando il metodo tradizionale di vinificazione nelle anfore qvevri viene riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio intangibile dell’umanità. La sua particolarità consiste nel fatto che il mosto viene inserito in grandi anfore di terracotta insieme ad una certa quantità di vinacce (bucce, vinaccioli e raspi) che può variare da un minimo del 10% ad un massimo del 100%. Al termine della fermentazione spontanea (che avviene in anfore interrate allo scopo di controllare naturalmente la temperatura) i contenitori da circa 1000 litri vengono sigillati e il vino sosta sulle vinacce e sulle fecce fini (3/6 mesi per i bianchi e 1 mese per i rossi). In primavera il vino subisce diversi travasi prima di essere messo a maturare in un qvevri pulito dove resterà da pochi mesi a svariati anni. Le vinacce, invece, vengono distillate per produrre la chacha, la tipica grappa georgiana alla base di ogni supra (banchetto georgiano).

Anfore georgiane (Qvevri)

E sono molti i produttori europei che hanno subito il fascino di questo metodo di vinificazione. Tra i precursori non si può non citare Joško Gravner, mitico viticoltore del Collio. “Era il 2001 quando mio padre a seguito di un viaggio in Georgia decise di acquistare delle qvevri – ha raccontato la figlia Mateja, gradita ospite della serata romana – Da allora vinifichiamo secondo il metodo tradizionale georgiano perché riteniamo che questo ci permetta di estrarre la parte più nobile delle uve. Una cosa che ci differenzia sono le lunghe maturazioni in botti grandi dove il nostro il vino sosta per almeno 6 anni. L’imbottigliamento avviene poi senza chiarifiche né filtrazioni”. Ora vi starete chiedendo se tra le etichette in degustazione a Roma ci fosse anche la mitica Ribolla Gialla o il Bianco Breg di Gravner… Ebbene no, come cantano i Rolling Stones “you can’t always get what you want”!

Tamar Tchitchiboshvili, Marco Cum e Mateja Gravner

Ma l’evento che ha fatto da spartiacque consacrando definitivamente la viticoltura di questo paese come una delle più importanti del mondo è, strano a dirsi, una pubblicazione scientifica. Parliamo della ricerca “Early Neolithic wine of Georgia in the south of Caucasus” pubblicata nel 2017 dalla rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti. Questo studio, basato sull’archeologia biomolecolare e realizzato da un team di ricercatori internazionali, ha dimostrato che in Georgia si produce vino da circa 8 mila anni. Risalgono, infatti, al 6000 a.C. le tracce di vino trovate all’interno di alcuni frammenti di giare in terracotta rinvenuti nei siti neolitici di Shulaveri Gora e Gadachrili Gora, circa 50km a sud della capitale Tbilisi. Fino a quel momento le più antiche tracce di vino ritrovate dai ricercatori risalivano al 5000 a.C. ed erano state rinvenute 500 km più a sud nel sito archeologico di Hajji Firuz Tepe, nel nord dell’Iran.

La Georgia può quindi essere considerata a tutti gli effetti la culla del vino e ad ulteriore riprova di questa primogenitura ci sarebbe anche l’origine della parola latina vinum che secondo molti linguisti deriverebbe dal georgiano ghvino. Altro motivo di orgoglio per questo piccolo paese con poco meno di 4 milioni di abitanti e 525 vitigni autoctoni riconosciuti (ma solo 45 vengono vinificati – fonte: Georgian National Wine Agency). Questi lo rendono, insieme all’Italia, il paese con il più grande patrimonio ampelografico del mondo.

Il claim della National Wine Agency Georgiana: “The cradle of wine” (La culla del vino)

A questo punto torniamo alla nostra domanda iniziale: l’entusiasmo che circonda la viticoltura georgiana è giustificato dalla qualità intrinseca dei suoi vini o è pompato dallo storytelling? Secondo noi entrambi gli argomenti sono validi ma bisogna fare una doverosa premessa: quelli georgiani sono vini difficili da interpretare per un degustatore poco esperto. Tannini scalpitanti, note ossidative e finali amaricanti possono spiazzare chi non ha mai partecipato ad una fiera di vini naturali e allo stesso tempo mandare in visibilio chi (come noi Vinomadi) ama questo tipo di vini. È pur vero che sempre più produttori hanno come riferimento il mercato europeo e la tendenza è quella di produrre vini meno “estremi”. E se a questa maggiore attenzione verso il consumatore occidentale si aggiungono gli investimenti fatti dal governo centrale per valorizzare la propria tradizione millenaria attraverso uno storytelling efficace, ecco che si spiega il grande successo che la Georgia del vino sta ottenendo nel mondo.

Gli eventi dedicati alla Georgia restano, però, abbastanza rari e per questo facciamo i complimenti a Riserva Grande per essere riuscita a coinvolgere 5 cantine che hanno proposto ben 17 etichette in degustazione. Si tratta di aziende distribuite in Italia in collaborazione con Tamar Tchitchiboshvili e l’agenzia 8Millennium: Vellino, Brothers Khutsishvili, 8Millennium, Abdushelishvili e Napheri. Le prime tre provengono dalla regione del Kakheti, nella parte orientale della Georgia confinante a sud con l’Azerbaijan e a nord con la Russia. Si tratta della principale regione vitivinicola georgiana sia per quantità (ospita il 70% delle vigne del paese) che per qualità. Questo grazie al clima mite e asciutto oltre che alle importanti escursioni termiche tra il giorno e la notte assicurate dai venti che arrivano dalla catena del Caucaso e dalla viticoltura in quota che caratterizza la regione (tra i 600 e gli oltre 1000 metri di altezza). I principali vitigni della zona sono Mtsvane e Rkatsiteli tra i bianchi e Saperavi tra i rossi. Le cantine Abdushelishvili e Napheri provengono, invece, dalla regione vitivinicola di Kartli ed entrambe si trovano pochi chilometri a nord di Tbilisi.

Vellino, piccola cantina biologica che produce 12 mila bottiglie l’anno nel piccolo villaggio di Kakabeti, nasce dalla passione di Beka Jimsheladze, giovane produttore di 28 anni che nel 2015 ha deciso di abbandonare il suo lavoro nella finanza per dedicarsi alla produzione di vini, attività da sempre portata avanti dalla sua famiglia. Tra i suoi vini segnaliamo 3 bianchi: il Mtsvane 2018 il Mtsvane&Rkatsiteli 2017 e il Rkatsiteli 2018 (100% Rkatsiteli – macerazione in anfora per 6 mesi – 13%). Quest’ultimo in particolare è caratterizzato da un bellissimo colore giallo dorato con riflessi ambrati e da un naso pulito che offre sentori di ginestra, frutta secca e uva passa su sottofondo delicatamente balsamico. In bocca la grande struttura e il tannino vibrante (impossibile non giudicarlo nei vini bianchi georgiani) sono ben bilanciati dalla grande acidità che alleggerisce il sorso. Piacevole il finale sapido in cui tornano le note balsamiche a donare una chiusura ammandorlata.

Brothers Khutsishvili è un’azienda di 2 ettari fondata nel 2015 dai fratelli Khutsishvili, eredi di una famiglia con 2 secoli di storia nella viticoltura. La cantina si trova nel villaggio di Kishekhevi, 35 km più a nord della cantina Vellino. La produzione annua è di circa 8 mila bottiglie. Da segnalare il loro impegno nel recupero di un vitigno che ha rischiato di scomparire: il Kisi che hanno proposto nell’annata 2017 (100% Kisi – 12,5%). Noi però abbiamo preferito il loro Rkatsiteli 2018 (100% Rkatsiteli – 6 mesi di macerazione in anfora più 6 mesi di maturazione in acciaio – 13,5%) che si presenta giallo dorato. Al naso una piacevole nota ossidativa è abbinata a ricordi di mela cotogna, erbe aromatiche, miele, frutta secca e frutta disidratata. Il sorso è teso grazie alla importante spalla fresco-sapida. Anche in questo caso la lunga macerazione dona al vino un tannino percepibile e un finale tipicamente amaricante.

8Millennuim è una cantina di proprietà di Irakli Svanidze ma è anche un’agenzia di distribuzione di vini georgiani con sede in Olanda. Da segnalare il loro Rkatsiteli proposto in 2 annate: 2017 e 2018. Noi abbiamo preferito la 2018 (100% Rkatsiteli – 6/7 mesi in anfora senza travasi – 13%). Giallo dorato tendente all’ambra. Naso sussurrato che alle note floreali unisce ricordi di erbe officinali e mandorla. Il sorso è snello e dotato di grande freschezza citrina. Una delicata morbidezza porta equilibrio insieme al tannino asciugante. Molto lunga la persistenza donata dalla piacevole sapidità ma soprattutto dalla chiusura in cui torna la mandorla.

Anche il Saperavi è stato proposto nelle stesse due annate con la 2017 che in questo caso ha avuto la meglio, risultando il vino rosso migliore della serata (100% Saperavi – 6/7 mesi in anfora senza travasi, successiva separazione dalle fecce e poi altri 12/14 mesi in anfora – 13,5%). Colore tra il porpora e il rubino concentrato. Naso piacevole che ai frutti di bosco unisce tante spezie come il pepe nero e il chiodo di garofano. Poi sottobosco e fiori secchi. Coerente la bocca che nonostante la grande freschezza mostra buon equilibrio grazie a un tannino vivo ma più integrato rispetto agli altri Saperavi in degustazione. Molto piacevole il finale fruttato in cui tornano le spezie.

Abdushelishvili si trova a Mtskheta proprio alla confluenza dei fiumi Kura e Aragvi. Si tratta del capoluogo della regione Mtskheta-Mtianeti, posto a circa 20 chilometri a nord di Tbilisi. Prodotto da loro il vino migliore della serata, ovvero il Rkatsiteli 2019 (100% Rkatsiteli – 10 mesi di affinamento in anfora – 14,5%). Colore meraviglioso tra l’oro e l’ambra. Naso ampio ed elegante che propone intriganti note di dattero e miele unite a ricordi di nocciola, mandorla, uva sultanina ed erbe aromatiche. Sorso caldo e dalla struttura importante che trova equilibrio nella sua grande acidità. Vino sapido e dalla lunghissima persistenza che chiude coerentemente su note ammandorlate.

Napheri si trova poco più a nord lungo il corso del fiume Aragvi, nel villaggio di Navazi. La cantina può contare solamente su un ettaro di vigna ed è di proprietà di Levan Kbiltsetskhlashvili. A noi Vinomadi è piaciuto il loro Saperavi 2019 (100% Saperavi – 13,5%). Rosso violaceo concentrato. Ricordi di amarena sotto spirito si uniscono a sbuffi balsamici e note vegetali. Il sorso caldo rivela un piacevole contrasto tra la morbidezza fruttata e la grande freschezza. Il tannino sferzante introduce un saporito e lungo finale in cui torna l’amarena.